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CIAO: un ponte tra carcere, famiglia e territorio

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CIAO: un ponte tra carcere, famiglia e territorio

In questo momento, nel nostro Paese, 21 bambini sono in carcere. Ci stanno perché sono congiunti alle loro madri, venti donne che stanno scontando una pena e che per questo sono costrette a crescerli tra celle e sbarre. Nel 2011 è stata approvata la legge n.62: sarebbe dovuta intervenire a regolare questa situazione e mettere fine ai suoi impatti gravissimi dal punto di vista umanitario, dei diritti civili, del processo di crescita e formativo. Il testo presenta, secondo diversi esperti, evidenti limiti, ma ha introdotto le case famiglia protette per madri e bambini, strutture in cui è possibile scontare pene alternative affinché i minori non siano costretti a crescere in carcere.

CIAO… un ponte tra carcere, famiglia e territorio, affianca nel quotidiano proprio madri e bambini detenuti prevalentemente presso l’ICAM (Istituto di Custodia Attenuata per Madri) di Milano, mettendo a loro disposizione spazi abitativi ma anche attività laboratoriali, di gioco, supporto psicologico e burocratico, accompagnamento educativo, accesso ai servizi sul territorio. Nata nel 1995, ha iniziato le sue attività sotto forma di volontariato a favore di detenuti del carcere di Opera, ex detenuti e famiglie di questi ultimi. «Proprio dall’esperienza in carcere – racconta Elisabetta Fontana, presidente dell’associazione – è emersa la necessità di strutture per accogliere detenuti in misura alternativa o in permesso premio». 

Nel 1999 si aprono le prime due case, prese in affitto da Aler attraverso un bando in grado di ospitare persone in permesso premio o che avevano diritto alla misura alternativa al carcere. Dopo qualche anno, nel 2000, viene assegnata all’associazione l’ultimo piano di un’ex scuola, il Liceo Montini, di proprietà della Parrocchia SS. Quattro Evangelisti e ristrutturato dalla Regione Lombardia e dalla Fondazione Moneta. Il nuovo spazio offre numerose possibilità: dai suoi 700 metri quadri sono stati ricavati tre appartamenti, una zona lavanderia, un ufficio per l’amministrazione e due locali per garantire l’accoglienza dei familiari in visita al carcere o in occasione dei permessi premio, per garantire la possibilità di ricongiungimento tra madri e figli con padri e mariti senza la necessità di pagare un albergo, dando loro uno spazio per stare insieme. 

«A partire dal 2006 – racconta Elisabetta – sono arrivati i primi progetti finanziati dalla Regione, che ci hanno permesso di inserire anche figure di operatori destinati all’accoglienza». Sono circa 400 le persone che hanno beneficiato del supporto di CIAO in quegli anni. Fino al 2010, quando l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna ha chiesto all’associazione di accogliere presso i propri spazi madri detenute con bambini, che avevano il diritto a un’accoglienza abitativa e avevano scontato gli anni di pena sufficienti a poter accedere a misure alternative.

«Finalmente – spiega la presidente dell’associazione – i bambini non erano più costretti a vivere anni cruciali della loro crescita all’interno di un carcere». Le madri che arrivano alle strutture di CIAO provengono dall’ICAM. L’ente è una sezione distaccata del carcere di San Vittore nella quale scontano la propria pena all’interno di una vera e propria casa, uno spazio concepito per non far avere ai più piccoli la percezione del carcere, con mura colorate, educatori, in cui gli agenti sono in borghese e i bambini hanno la possibilità di uscire con educatrici e volontari. Una volta che le donne sottoposte a pena detentiva arrivano al numero di anni sufficiente ad avere diritto a misure alternative, possono spostarsi presso le strutture gestite da CIAO, che però offre ospitalità anche a donne provenienti da Como, Bollate, Venezia, Roma. 

La struttura al momento ospita sei madri e sette bambini e prevede per questi il mantenimento completo. Oltre allo spazio in parrocchia, l’associazione gestisce un appartamento nel quartiere Giambellino, due appartamenti in Porta Genova e due alloggi nel complesso 5Square (zona vigentino), che consentono l’accoglienza di sette nuclei mamma-bambino che hanno finito di scontare la propria pena ma non hanno un’abitazione o che sono state segnalate dai servizi sociali perché provenienti da situazioni di disagio socio-economico o abitativo. 

«Queste madri spesso non hanno alcun riferimento sul territorio. A volte sono analfabete, o straniere, non hanno documenti e non sanno a chi rivolgersi». L’associazione offre anche accompagnamento educativo, un percorso «di sostegno alla genitorialità, finalizzato anche all’autonomia, il supporto nella relazione con le istituzioni, anche carcerarie, ma anche alla regolarizzazione sul territorio, alla produzione di documenti utili come la tessera sanitaria, che consente l’accesso a numerosi servizi. «L’accesso ai servizi sanitari per i bambini – spiega Elisabetta – è più facile, perché viene comunque riconosciuto il diritto alla salute. Ma se le madri sono straniere, magari senza permesso di soggiorno, accedere ai servizi può essere molto arduo, e c’è bisogno di supporto». 

La struttura è una casa famiglia protetta, ai sensi della legge 62 del 2011. In tutta Italia ne esistono solo due: questa con sede a Milano e una a Roma. «Proviamo a costruire una dimensione quotidiana più vicina possibile alla normalità – spiega Elisabetta –. Le madri hanno la possibilità di uscire solo dalle 10 alle 12, al mattino, ma noi cerchiamo di fare in modo, chiedendo le dovute autorizzazioni, che possano accompagnare i bambini a scuola, nelle attività extrascolastiche, o anche dal medico». 

L’associazione propone anche un supporto psicologico. «Paradossalmente, in certi casi, la detenzione in sé sembra essere l’ultimo dei problemi. C’è enorme sofferenza nei bambini che hanno affrontato questa esperienza così come nelle loro mamme». Ma c’è anche un piano di attività meramente ludico-ricreativo, volto a garantire ai bambini il diritto alla serenità, al divertimento. Progetti di laboratori creativi, artistici ma anche gite fuori porta. «Siamo stati al parco dei divertimenti Leolandia, all’Idroscalo, alla Grotta di Babbo Natale! Ogni estate trascorriamo cinque giorni in Val D’Aosta, in un ostello che offre un’attività chiamata Terapia dell’avventura che piace tanto». 

Spesso le madri accolte hanno altri figli. A volte, quando sono straniere, risiedono nei Paesi d’origine ma talvolta invece sono in Italia ed è possibile coinvolgerli in queste attività, ricostruire una parvenza di normalità in nuclei familiari spaccati dall’esperienza detentiva. 

«In questo momento, nella casa famiglia protetta accogliamo quattro donne in esecuzione penale con i loro bambini, e una donna con due figli inviata dai servizi sociali. In generale la nostra utenza – spiega Elisabetta – dipende dalle segnalazioni che ci arrivano. Adesso, in parte a causa dell’emergenza Covid, i numeri sono bassi e c’è stato un momento in cui l’ICAM, che oggi ospita la detenzione di sette donne, aveva zero utenti». In passato ci sono stati anni in cui in carcere c’erano anche 80 bambini. 

Dal 2010 CIAO ha gestito l’accoglienza di 28 madri e 30 bambini, garantendo quattro ricongiungimenti familiari di madri in misura alternativa con figli accolti in altre strutture. «Siccome il nostro obiettivo è evitare che i bambini rientrino in carcere – racconta ancora Elisabetta – accogliamo anche i papà in permesso premio, che possono usare la nostra struttura per le 12 ore di permesso».  

Con Banca Etica si sono incrociati grazie alla relazione con l’associazione Bambini senza Sbarre. «Banca Etica – spiega la presidente – è stata fondamentale: avevamo importanti crediti verso le fondazioni e grazie all’anticipazione del credito che ci ha fornito siamo riusciti a proseguire nelle nostre attività in una fase davvero molto difficile. La raccolta fondi, sempre attiva, riesce a garantire una serie di attività accessorie mentre è difficile gestire il quotidiano, anticipare le spese per le rette delle madri affidateci dai servizi sociali o pagare integralmente quelle che non godono di questi benefici, come nel caso di tre delle quattro attuali ospiti».

Accade spesso che un ente sia destinatario di finanziamenti provenienti dal privato, ma i tempi di erogazione siano in contrasto con le necessità di liquidità immediata, o che siano previsti in rendicontazione di spese già effettuate. Queste situazioni, secondo Elisabetta, ci interrogano circa il ruolo delle istituzioni: «Una madre detenuta che non goda dell’accompagnamento del servizio sociale non riceve alcun contributo. Nel 2021 era stato messo a disposizione un fondo per l’accoglienza extra-carceraria da parte del Ministero, che ha stanziato complessivamente un milione e mezzo di finanziamenti alle diverse Regioni, ogni anno, per tre anni. Noi al momento siamo in attesa dei fondi relativi alle accoglienze del 2023, che speriamo arrivino presto perché abbiamo sostenuto tutte le spese a nostro carico».

«Banca Etica – continua – ci ha permesso di proseguire nelle nostre attività, garantendo sempre il pagamento degli stipendi dei lavoratori». L’associazione ha cinque lavoratori a tempo indeterminato di cui quattro a tempo pieno e uno a part time, e si avvale della collaborazione di professionisti in partita iva. «Io, da presidente, posso decidere di posticipare il mio stipendio, così come può farlo il direttore, ma per noi è fondamentale tutelare i nostri lavoratori e se siamo riusciti a farlo è stato anche grazie a quell’anticipazione di credito. Ed è stata essenziale anche perché spesso la preoccupazione dei soldi può essere una distrazione, può distoglierti da quello che devi fare, dalla tua mission». 

Nonostante le difficoltà occasionali, l’associazione riesce a mettere in campo il proprio variegato complesso di attività che, come riportato anche da Michele Milanesi, referente di Banca Etica per il progetto, hanno un impatto indubbiamente molto forte.