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K-PAX: con l’accoglienza diffusa l’integrazione dei rifugiati è possibile!

di Daniel Tarozzi – Italia che Cambia 

K-pax nella fantasia di molti è solo un film di fantascienza. A volte, però, la realtà va oltre l’immaginazione. In questo caso è successo a Breno – in Valcamonica – non lontano da Brescia, dove nel 2008 è nata la Cooperativa Sociale K-pax, un gruppo formato da operatori e consulenti interessati ad aiutare richiedenti asilo e rifugiati.

La peculiarità di K-Pax consiste nell’aver sviluppato con successo un sistema di accoglienza “diffusa” per i rifugiati, un modello che si contrappone a quello prevalente che tende a concentrare una grande quantità di persone in un solo luogo.

Nei grandi centri di accoglienza gli stranieri finiscono con l’essere percepiti come “invasori”, come pericolo e difficilmente riescono a integrarsi in una comunità. Se invece i rifugiati vengono inseriti gradualmente in un contesto meno emergenziale riescono più facilmente a relazionarsi con una nuova cultura e un nuovo modo di vivere e gli abitanti locali non temono per la loro sicurezza o la loro identità culturale. In teoria lo Sprar – il sistema italiano di accoglienza per i rifugiati – prevederebbe proprio questo tipo di politica, ma in pratica quando i flussi migratori sono troppo elevati il meccanismo dello Sprar si inceppa.

K-pax è riuscita a riprodurre gli standard Sprar nella gestione di numeri elevati di rifugiati e in contesti che non sembravano favorevoli all’inserimento.
Il nostro ‘sistema operativo’ diffonde sui territori le residenze dei rifugiati in appartamenti da quattro o cinque persone”, ci spiega il Presidente della Cooperativa, Carlo Cominelli,in questo modo i nuovi arrivati non stravolgono il contesto”.

L’Italia ha migliaia di piccoli paesi e l’integrazione può avvenire in modo molto più semplice in piccoli paesi che in grandi città.

Lavoriamo con afghani, pachistani, nigeriani, senegalesi, a volte siriani, a volte curdi – continua Cominelli – dobbiamo quindi sviluppare un lavoro continuo di traduzioni e mediazioni… ogni etnia ha il suo traduttore. In questi anni abbiamo ospitato un centinaio di persone per volta. Ora siamo a centotrenta/centocinquanta persone. È un percorso a tempo, ci sono fasi di entrata ma anche di uscita e re-inserimento”.

All’inizio della storia della cooperativa eravamo in sette – ci spiega Cominelli – tutti provenienti da esperienze di volontariato o già impegnati nei sistemi di accoglienza. Oggi siamo quindici persone con contratto a tempo indeterminato affiancati da una serie di collaboratori che ci aiutano in determinate mansioni. Ultimamente ci chiamano anche molto in giro per fare consulenze. Il nostro modello sta piacendo!”.

Da due anni, la cooperativa ha anche preso in gestione lo Sprar di Brescia: “lì siamo nella grande città, e il contesto è diverso. Gestiamo accoglienze e sistemi di emergenza. Abbiamo il vantaggio di essere vicini alla questura e cerchiamo di applicare le nostre logiche nei quartieri”.

Tra i progetti attuali più significativi Cominelli segnala la gestione dell’albergo in cui ci siamo incontrati, situato nel centro di Breno, che era in stato di decadenza mentre oggi è attivo e offre, tra le altre cose, occupazione ad alcuni rifugiati; il progetto della raccolta dei vestiti usati con i quali finanziano anche appartamenti protetti per donne vittime di violenza;  un video informativo che i rifugiati possono scaricare sul proprio telefono appena approdati in Italia.

Ancora una volta Banca Etica ha contribuito alla realizzazione di questi progetti.

All’inizio abbiamo proposto le nostre idee alla filiale di Banca Etica e abbiamo trovato un buon livello di collaborazione. È la nostra cassa di riferimento. Oggi siamo soldi ma abbiamo comunque bisogno di un piano economico strutturale. Nessuna cooperativa può lavorare senza questo sistema di credito. La nostra fortuna è che non abbiamo mai penato più di tanto”.