In collaborazione con Corrado Fontana, giornalista di Valori.it
Non una mozzarella qualunque, ma la mozzarella di bufala campana DOP nata dal pregiato latte degli allevamenti che punteggiano le zone costiere della piana del Volturno e del Sele sin dal medioevo. Uno dei formaggi più apprezzati e conosciuti al mondo che, prodotto nel caseificio della cooperativa Terre di don Peppe Diana Libera Terra, diventa anche espressione di legalità, lavoro e diritti in contrasto al potere della criminalità organizzata, che non ha smesso di alzare la voce neppure durante le restrizioni imposte dalla pandemia per coronavirus.
Ma la Campania e i campani sono ben altra cosa. E a dimostrarlo c’è anche questa cooperativa nata nel 2010 a Castel Volturno (Ce) su iniziativa dell’Associazione Libera guidata da don Luigi Ciotti. Dedicata alla memoria del sacerdote ucciso dai killer, Terre di don Peppe Diana Libera Terra, animata dai suoi 5 soci e, complessivamente, da una quindicina di lavoratori durante l’anno (otto stabilmente dedicati al caseificio), è diventata una realtà economica importante. Ad oggi gestisce infatti terreni e impianti confiscati alla camorra nel suo comune e in quelli vicini di Cancello ed Arnone, Pignataro Maggiore, Carinola e Grazzanise. Opera come parte del Consorzio Libera Terra Mediterraneo, all’interno del quale, ci ricorda Massimo Rocco, presidente della cooperativa, «Banca Etica è presente, influente e per noi rappresenta un punto di riferimento costante».
Al centro delle attività c’è la produzione annua di oltre 50 tonnellate di mozzarella. Ma il caseificio – realizzato su un appezzamento confiscato a Michele Zaza, boss del contrabbando di sigarette – trasforma il latte di cinque aziende bufaline del territorio (di cui due accompagnate fino a ottenere la certificazione biologica) anche in scamorza e ricotta. Dagli allevamenti, quindi, la Terre di don Peppe Diana Libera Terra ricava e vende (anche online, in tutta Italia e in buona parte attraverso il circuito dei gruppi di acquisto solidale) alimenti che sono simbolo e pilastro dell’economia regionale e di un territorio socialmente fragile.
Ed è in questo contesto che si rivela tanto più importante la presenza di una cooperativa sociale. Perché, oltre ai formaggi, realizza progetti di inserimento per persone svantaggiate che arrivano al caseificio prima dell’alba e sovrintendono a tutte la fasi della lavorazione, fino al confezionamento. Ma non solo. Dalla terra coltivata con metodo biologico vengono prodotti cereali e legumi destinati perlopiù alla trasformazione, ovvero ad alimentare le proposte di Libera terra, e poi colture foraggiere, mantenute per esigenze di rotazione e per diventare l’alimento bio destinato alle bufale. Presto, su 2 ettari, comincerà a dare i suoi frutti un noccioleto e, non appena le condizioni create dalla pandemia lo permetteranno, avverrà l’installazione di un affumicatore a ridotto impatto ambientale che, bruciando paglia biologica, consentirà di aggiungere varianti alla linea dei prodotti caseari.
Il coronavirus, infatti, non è passato indenne. Oltre ad aver interrotto le visite didattiche delle scuole e i soggiorni formativi dei molti che si interessano al modello produttivo e organizzativo della cooperativa, ha fatto sì che «Il fatturato dell’anno sarà in buona parte compromesso per le restrizioni – conclude Rocco –, a cominciare dalla chiusura di bar e ristoranti, la cui domanda è stata azzerata dai primi di marzo. Le persone si sono messe completamente a disposizione, abbiamo lavorato meno giornate a settimana, con volumi di prodotto altalenanti, e su turni. Abbiamo cercato di distribuire il ricorso alla cassa integrazione in modo equo ed equilibrato, e c’è anche qualcuno che ha operato da casa, pur tra qualche difficoltà. D’altra parte per noi è stato un privilegio poter continuare l’attività, seppure con modalità diverse».
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