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Finanza etica

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A Natale ritroviamo la responsabilità collettiva per il futuro

A Natale ritroviamo la responsabilità collettiva per il futuro

A cura di Anna Fasano – Presidente di Banca Etica

Lo sforzo di autoconservazione, l’istinto a resistere e a conservare convenienze individuali, il contenimento dei doveri di solidarietà, lo scivolamento in basso degli investimenti sociali hanno finito per appiattire tutto sull’esistente. E nulla come la conservazione dell’esistente genera più contraddizioni e disuguaglianze, perché l’individuale adattarsi al mondo smarrisce ogni responsabilità collettiva di futuro

Così riporta la presentazione del Rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese pubblicato poche settimane fa. Un profilo che possiamo applicare non solo all’Italia, ma anche alla Spagna e in una buona parte dell’Europa.

La reazione a questa fotografia potrebbe essere quella di pensare “queste crisi ci hanno resi peggiori”, una lettura delle fatiche individuali e collettive oppure come molti amano dichiarare “mancano strategie per il futuro” evidenziando una delusione rispetto a misure internazionali e nazionali che gestiscono emergenze, intervengono su fattori contingenti ma fanno fatica a costruire percorsi di futuro.

Ci chiediamo quale sia il ruolo dei soggetti economico-finanziari in questo contesto? 

Quale il ruolo della finanza etica in questo scenario?

Penso che mai come ora vi siano strategie internazionali: alcune hanno volti e nomi, altre sono più offuscate e difficili da individuare ma certamente esiste una visione del mondo dominante. Il vero tema è che questa visione non corrisponde alla società che tanti di noi stanno cercando di costruire e in cui crediamo.

Penso che la logica della massimizzazione del profitto (only for profit), pietra miliare tutt’oggi di molti insegnamenti economici – cercando di convincerci che in fondo ne beneficia pure la società –  non sia più un modello accettabile perché sta distruggendo il pianeta e creando una frattura sempre più evidente e forte tra i pochi che detengono molte risorse e i molti esclusi dall’accesso ai diritti primari.

A chi gode della sua zona di confort consiglio di uscirne e sperimentare la fatica delle famiglie, dei piccoli imprenditori, delle tante aree “di cura” di piccoli, anziani e fragili vittime delle scelte dei “pochi” e dell’indifferenza di molti.

A chi pensa sia inutile lottare contro poteri troppo forti rivolgo l’invito a sperimentare luoghi di costruzione di un’economia e finanza di pace, ma è necessario sperimentare direttamente e concretamente il cambio di rotta, contribuendo con il proprio lavoro quotidiano, i propri consumi e i propri risparmi.

Esiste un’economia sociale – meno rumorosa di quella armata, inquinante e iniqua- che sta crescendo non solo attraverso i settori a vocazione sociale (come la cura e l’educazione) ma anche attraverso la rigenerazione di organizzazioni che diventano a vocazione sociale, che lavorano sulla governance delle imprese, sulla creazione di beni e servizi con impatto sociale e ambientale. 

Patti intergenerazionali, superamento della logica redistributiva, protagonismi delle persone lavoratrici sono gli spazi di lavoro che oggi dobbiamo alimentare.

Una trasformazione della società e dei suoi modelli (economico, finanziario, sociale) sarà possibile SOLO se la consapevolezza e la responsabilità popolare sposteranno interessi e risorse.

L’azione individuale è necessaria ma non sufficiente, abbiamo bisogno di spazi di collaborazione e di collegialità.

Auguri allora a tutti i “laboratori di umanità” come lo è quello del sistema Banca Etica, l’augurio di essere instancabili costruttori, profondi creatori di dialogo e vivaci animatori di comunità.

Foto di Josh Boot su Unsplash