Anche se i diritti umani sono gravemente compromessi in molti stati del mondo, abbiamo chiesto ad Amnesty International Italia di raccontarci delle buone notizie che ci dimostrato che il cambiamento è sempre possibile.
Vladimir Kara-Murza stava scontando 25 anni di carcere, Oleg Orlov due anni e mezzo, Aleksandra Skochilenko sette. Il loro “reato”? Aver usato la parola scritta, la voce, l’arte contro la guerra della Russia all’Ucraina. Insieme ad altri importanti esponenti del dissenso russo, come Lilia Chanysheva, Ksenia Fadeeva, Andrei Pivovarov e Ilya Yashin e ai giornalisti Evan Gershkovich e Alsu Kurmasheva, Vladimir, Oleg e Aleksandra sono tornati in libertà il 1° agosto in un ampio scambio di prigionieri tra la Russia e la Bielorussia da un lato, gli Usa e alcuni stati europei dall’altro.
Vi chiederete: quale merito possono prendersi Amnesty International o altri movimenti per i diritti umani in una vicenda tutta politica da clima di Guerra fredda? Uno: di aver fatto salire l’attenzione, con appelli e mobilitazioni, su quei nomi, che altrimenti sarebbero stati ignorati dalle cancellerie occidentali e non sarebbero stati inclusi nella lista dei detenuti russi oggetto del negoziato.
Una buona notizia, dunque. Così come quella arrivata il 26 giugno della fine della persecuzione giudiziaria di Julian Assange, l’attivista australiano che ha rischiato per anni di finire murato in una prigione di massima sicurezza degli Stati Uniti per aver reso noti, tra l’altro, i crimini di guerra commessi in Iraq e in Afghanistan dalle forze armate statunitensi all’inizio di questo secolo.
Quella di Assange è la storia a lieto fine nel campo dei diritti umani più nota del 2024. Lo scorso anno, lo era stata quella di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna tornato definitivamente libero dopo oltre tre anni trascorsi in Egitto tra detenzione e processi.
Poi ci sono le buone notizie sconosciute. Quelle che restano sottotraccia perché, come noto, attirano meno “click” rispetto a quelle cattive, soprattutto poi se i loro protagonisti sono persone i cui nomi non sono noti al pubblico.
L’8 luglio in Cina è stato scarcerato l’avvocato per i diritti umani Chang Weiping. Un anno prima era stato condannato a tre anni e mezzo di prigione per “sovversione dei poteri dello stato” solo per aver reso noti i dettagli delle torture subite durante un precedente periodo di detenzione, nel gennaio 2020.
In Guinea, il 31 luglio, un tribunale ha condannato per crimini contro l’umanità, con pene da 10 anni all’ergastolo, otto responsabili del massacro dello stadio della capitale Conakry del 28 luglio 2009, in cui vennero uccisi almeno 156 manifestanti e stuprate e ridotte in schiavitù sessuale almeno 109 donne e ragazze nella repressione di una protesta contro la decisione del leader della giunta militare, Moussa Dadis Camara (tra i condannati), di candidarsi alle elezioni presidenziali.
Tra le quasi 200 buone notizie registrate da Amnesty International nei primi sette mesi del 2024, diverse riguardano la pena di morte, a conferma che la tendenza globale verso la sua abolizione, per quanto lenta, è inarrestabile.
In Malesia, da quando è stata abolita l’obbligatorietà della pena capitale per una serie di reati, ripristinando dunque la discrezionalità del giudice di valutare eventuali circostante attenuanti, sono state commutate decine e decine di condanne a morte.
Negli Usa, Il 1° luglio, la procura della California ha deciso di non procedere oltre, confermando precedenti sentenze che avevano annullato la condanna a morte di Larry Roberts, giudicato nel 1983 erroneamente colpevole dell’omicidio di un compagno di cella e di una guardia penitenziaria. Si è trattato del duecentesimo annullamento di una condanna a morte con successiva scarcerazione dalla ripresa delle esecuzioni nel 1977.
Una delle ultime buone notizie arriva dallo Yemen, a conferma che l’umanità resiste anche in luoghi dilaniati dalle guerre.
Il 1° agosto una grande folla si era radunata fuori da una prigione di Aden, dove ha sede il governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Hussein Harhara aveva letteralmente la corda al collo. Il 27 giugno 2023 aveva ucciso la piccola Haneen, figlia di Ibrahim al-Bakri. I due adulti si erano messi a litigare dopo un incidente automobilistico che aveva coinvolto le loro vetture e ne aveva fatto le spese la bambina. Anche al-Bakri era presente sul luogo dove, pochi minuti dopo, avrebbe avuto luogo l’esecuzione. Improvvisamente ha chiesto la parola. Ha perdonato l’assassino della figlia. La corda al collo di Hussein Harhara è stata allentata e poi tolta.
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