A cura di Alessandro Messina, Direttore generale di Banca Etica.
Genova 2001. Io c’ero. E forse basta così. Non so aggiungere granché a ciò che lucidamente hanno già scritto in tanti.
Lorenzo Guadagnucci sulla cronaca e la verità ancora mancante.
Alessandro Leogrande sul seme mai germogliato.
Giulio Marcon sulle lezioni di quel movimento e le paure di chi lo ha bloccato.
Luca Martinelli sui mille percorsi che portarono a quelle strade.
Giulia Testa sull’importanza di Genova per chi non c’era o non era nato.
Solo per citarne alcuni.
Si scrive su quelle giornate per sete di giustizia, per uscire dalla solitudine del trauma, per condividere e dare piena credibilità ai racconti che per anni – ai più – sono sembrati impossibili o inverosimili.
Vi risparmierò allora come sono arrivato a Genova, da dove sono passato, perchè ci sono andato. Sulle ragioni che a me parevano importanti di quel movimento, avevo scritto un mese prima per Limes, nel numero “I popoli di Seattle”, presentando – tra l’altro – Banca Etica come “il risultato più sorprendente dell’evoluzione del terzo settore in Italia, l’esempio più ardito (considerato utopico solo cinque anni fa) di come si possa coniugare efficienza economica e solidarietà, capacità di affrontare subito i problemi sul territorio e visione e strategia di lungo periodo“.
Quel movimento aveva ragione, è chiaro ora, ma lo era anche allora ai potenti che con ferocia fascista lo hanno deliberatamente schiacciato. Nessuno di loro ha pagato il prezzo politico di quello scempio.
Io c’ero. Ho visto con i miei occhi.
Inermi volontari caricati senza motivo da pattuglie di celerini.
Ragazzetti in bermuda uscire dalla scia della manifestazione pacifica per trasformarsi, dietro una cabina telefonica, in agguerriti black bloc, sotto lo sguardo complice e scherzoso di qualche poliziotto.
Squadroni di agenti speciali, attrezzati di tutto punto, che preferiscono inseguire e minacciare suore, anziani e famiglie con bambini, omettendo scientemente di volgere lo sguardo verso chi a pochi passi brucia auto, e che potrebbe essere fermato con due spintoni.
Io c’ero. E porterò sempre con me la luce che c’era nelle strade e sulle facce delle persone: speranzose, colme di ottimismo, fiduciose verso il futuro e il valore delle collettività.
Per fortuna, c’ero. Perchè da allora è stato più facile sentirsi parte di qualcosa.
Genova 2001 è stata una grande dimostrazione collettiva di umanità e lungimiranza.
Tenere viva la riflessione sul suo significato e sui suoi contenuti è fondamentale per alimentare il cambiamento di domani.
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