di
Anna Fasano, presidente di Banca Etica.
Editoriale pubblicato su Vita.it il 30 settembre 2023.
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o sanno benissimo le decine di lavoratrici – perlopiù – e lavoratori di La Perla che il 5 settembre scorso manifestavano rumorosamente a Roma contro la proprietà che aveva rilevato l’azienda nel 2018, quando La Perla, marchio celebre nel settore della moda internazionale principalmente per la produzione di lingerie e costumi da bagno d’alta gamma, aveva ancora 1.500 dipendenti e 150 negozi monomarca in tutto il mondo. Nel 2018 La Perla era già in difficoltà e il declino – purtroppo – non si è arrestato (attualmente la forza lavoro si è ridotta a circa 330 dipendenti in Italia, circa la metà di 5 anni fa) finché, all’inizio di maggio 2023, la proprietà ha dato un segnale di speranza per la ripresa, annunciando che entro un mese sarebbero arrivati i 60-70 milioni necessari per pagare i fornitori e far ripartire lo stabilimento bolognese. Quei soldi – ça va sans dire – non sono stati messi a disposizione, ad oggi.
Ma chi è il “padrone” di La Perla? Il Gruppo, nel mirino anche del fisco britannico e dopo diversi passaggi di mano avvenuti negli ultimi 10 anni, oggi fa capo al fondo finanziario olandese Tennor, detenuto dal finanziere tedesco Lars Windhorst, che nei giorni della protesta capitolina veniva accreditato di aver acquistato una villa a Beverly Hills per 47,5 milioni di dollari. Dall’assunzione della proprietà di La Perla da parte del fondo Tennor si sono susseguiti riduzioni di personale e ritardi nei pagamenti delle retribuzioni, tanto che lo scorso 5 settembre, per l’appunto, la vicenda è finita sul tavolo delle crisi aperte del ministero delle Imprese e del made in Italy, e la parabola del brand – al di là di ogni miglior auspicio di rinnovato successo – può diventare evocativa di quanto l’azione degli operatori finanziari (banche, fondi speculativi, fondi pensionistici e fondi sovrani, gestori del risparmio…) può incidere sulle comunità.
Dunque, in un Paese come il nostro in cui la tradizione delle aziende di famiglia è ancora fortissima, e viene vista ora quale freno all’innovazione ora come garanzia di paternalistica solidità, la storia di La Perla ci fa pensare ad altre segnate da una relazione burrascosa con lontani finanziatori. Al calzaturificio Moreschi di Vigevano (proprietà del fondo svizzero Hurleys), per esempio, alla Nuovi Profumi di Parma (rinata oggi come workers buyout scaturito dalla storica Morris Profumi, passata per la proprietà di due fondi d’investimento svizzeri), alla ex Gkn di Campi Bisenzio (sedotta e abbandonata dalla britannica Melrose Industries Plc, partecipata a sua volta da fondi finanziari e speculativi di primo livello come Blackrock e Vanguard). Storie il cui esito industriale e occupazionale non è ancora definito, e tuttavia simboliche del fatto che i soggetti finanziari possono risultare portatori di una visione non coincidente con quella dell’economia reale di uno specifico territorio, perseguendo obiettivi e spendendo capacità che non garantiscono la prosperità dell’impresa e un futuro roseo per i lavoratori…
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