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Apeiron in Campania: creare lavoro e integrazione dove prima regnava la Camorra

In collaborazione con Italia Che Cambia – Testi di Paolo Cignini

Nelle terre confiscate al clan camorrista dei Nuvoletta, negli spazi in cui – si narra – si nascose Totò Riina, oggi sorge la cooperativa Apeiron, un centro che si occupa di agricoltura sociale e offre servizi di accoglienza a richiedenti asilo e a utenti con problemi di salute mentale.

Ettari ed ettari di terreno agricolo che i clan avevano strappato all’agricoltura e alla viticoltura per consegnarlo ai propri loschi traffici. È qui che incontriamo Emiliano Sanges, il presidente della cooperativa Apeiron, assieme a Vincenzo Sanges, socio fondatore e Luigi Corvino, socio, che ci raccontano la storia fin dal principio.

La Cooperativa Sociale Apeiron nasce nel 2008 nel territorio dell’Agro aversano prevalentemente per la gestione dei budget di salute previsti dalla regione Campania: “Volevamo creare delle reali opportunità di lavoro per i ragazzi cosiddetti svantaggiati, anche se a noi non piace chiamarli così”, ci racconta Emiliano. “Eravamo decisi a combattere lo stigma sociale che riguarda le persone con disagio mentale e far sì che queste persone diventassero soggetti attivi di una realtà come la nostra”.

Poi nel 2013 la svolta: “Navigando sul sito su internet di Libera mi accorsi che c’era la possibilità di partecipare alla gara per l’affidamento di un bene confiscato, un terreno agricolo denominato Cento Poggi. Decidemmo di partecipare a questa gara, seppur in un momento di grande difficoltà economica, e vincemmo l’appalto, essendo anche gli unici richiedenti!”.

Inizialmente si è puntato soprattutto sulla coltivazione di grano, che poi veniva (e viene tuttora) acquistato dal consorzio Libera Terra per produrre pasta, farine e altri prodotti da terre confiscate che poi vengono offerti nei pacchi della cooperativa Don Peppe Diana. Ma anche ortaggi, vino e tanto altro. Il tutto biologico certificato, con analisi di acque e terrene effettuate regolarmente. Poi, sempre a seguito di confische ai clan, si sono aggiunte una cucina e una serigrafia, che impiegano altre persone. La serigrafia è gestita da Luigi, neosocio della cooperativa che viene da Casal di Principe e ci tiene a precisare che “I veri casalesi Doc sono quelli come me, che fanno anticamorra!

Oggi nell’edificio principale che sorge in mezzo alle proprietà confiscate vivono varie persone. “All’ultimo piano”, ci spiega Vincenzo, “vivono i ragazzi con disabilità mentale. Non è una casa famiglia, è proprio casa loro: certo sono aiutati e osservati da una psicologa e da noi, ma non sono ospiti, sono i ‘padroni di casa’. Al piano di sotto invece abbiamo un centro di accoglienza per richiedenti asilo. Questo innesca interazioni inaspettate e i vari abitanti della casa hanno creato dei bellissimi rapporti fra loro. Anche se a volte non capisco neppure in che lingua riescono a comunicare!

“Il valore aggiunto di questo progetto –  racconta Emiliano con entusiasmo – sta nel fatto che ci troviamo in un bene confiscato, all’interno di un territorio che veniva definito la Svizzera dei clan, dove c’era il punto di congiunzione tra la mafia siciliana e la camorra napoletana. Riuscire a creare lavoro e integrazione proprio qui, in maniera onesta, etica e accessibile penso che sia la nostra più grande vittoria. Abbiamo creato un piccolo mondo dove tutte quelle differenze che al di fuori esistono, qua sono al massimo delle sfumature che ci arricchiscono”.

Il contributo di Banca Etica è stato determinante ed è arrivato in un momento delicato dell’attività. “Eravamo in un momento di grande difficoltà in cui forse neanche noi credevamo più nelle nella possibilità di portare avanti questa iniziativa. Gli enti pubblici non pagavano, i servizi erano stati notevolmente tagliati e noi ci trovavamo con una serie di investimenti avviati e una grande difficoltà nel riuscire a portare avanti le cose. Banca Etica ha creduto nelle nostre idee quando crederci era difficile anche per noi. Assieme alla filiale di Napoli abbiamo avviato un percorso condiviso anche di progettazione e di supervisione, e oggi siamo riusciti a creare ben 15 posti di lavoro! La risposta migliore che si possa dare su un bene confiscato è quello di restituire al territorio il lavoro”.