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SCIENZA ACCOGLIENZA E COOPERAZIONE: I VOLTI DI ERI

In collaborazione con Corrado Fontana, giornalista di Valori.it

Da Torino verso il mondo, guardando all’ambiente e alle persone. Questo potrebbe sintetizzare – molto –, in una sorta di claim, le direttrici principali seguite dal lavoro dello European Research Institute (ERI). Realtà che opera soprattutto sulle tre macro-aree dell’inclusione sociale, della ricerca scientifico-ambientale e dell’ICT (Information and Communication Technologies), e con progetti di respiro internazionale – spesso finanziati dalla Commissione europea –, continentale o profondamente radicati nel territorio piemontese: azioni d’inclusione sociale e lavorativa, formazione e accoglienza per stranieri.

E proprio in quest’ultimo ambito è nato l’incontro con Banca Etica. Grazie a un progetto con i centri di accoglienza straordinaria per migranti, i Cas (in particolare, 35 ospiti a Torino e una cinquantina ad Alessandria). «Si tratta della prima accoglienza – spiega Federico Floris –, dove i richiedenti asilo rimangono in attesa di un riconoscimento della protezione internazionale. Noi ci occupiamo di tutta la parte dell’accoglienza materiale, di assistenza psicologica e sociale, assistenza medica, inclusione scolastica prima e lavorativa successivamente, oltre all’accompagnamento all’abitare verso l’inclusione sociale. La tempistica di pagamento delle prefetture arriva a richiedere attese fino a 6-8 mesi, e questa attività sarebbe quindi insostenibile senza una linea di credito per l’anticipo fatture. Per questo ci siamo rivolti a Banca Etica, un istituto di credito che offre un conto corrente per onlus ed in generale, una proposta di conto corrente per il terzo settore, perché ci tenevamo che fosse lei il nostro partner per questo tipo di progetti. E ci stiamo trovando bene. Con una realtà di filiale piuttosto piccola, che consente una conoscenza diretta e delle relazioni in qualche modo informali».

Un incontro che funziona ormai da quattro anni e alimenta certe attività, affiancandosi agli altri progetti in corso, piuttosto ambiziosi per un’organizzazione che ha 15 dipendenti e una schiera di collaboratori, professionisti che formano un’equipe multidisciplinare da poter impiegare quando e dove serve. Ad esempio in Gambia, dove il progetto di cosiddetta “cooperazione decentrata” Cesad si focalizza sull’inclusione socio-lavorativa e l’agricoltura sostenibile. «Da un lato – prosegue Floris – si aiuta attraverso la mappatura del territorio (l’area di intervento è una regione del Paese che si chiama North Bank, non ancora geolocalizzata), e poi si agisce cercando di promuovere l’agricoltura locale attraverso una serie di dinamiche». D’altra parte molte delle competenze (soprattutto di psicologi e formatori) e la rete di contatti sviluppata per i Cas o nel Cesad può essere spesa nei programmi che ERI conduce per persone disoccupate segnalate dai servizi sociali di Torino, e ingaggiate nella ricerca attiva di un posto di lavoro attraverso i cosiddetti Job Club.

Azioni per le persone, insomma, e non meno per l’ambiente e la scienza. Grazie ai progetti seguiti dal giornalista Franco Borgogno, oggi socio dell’istituto, che nel 2016 ha accompagnato una prima missione nell’Artico per il monitoraggio di plastiche, microplastiche e nanoplastiche nel Passaggio a Nord Ovest, in collaborazione con il 5 Gyres Institute californiano. Borgogno che è diventato uno dei riferimenti della campagna di Sky Un mare di plastica, e dalla cui esperienza ERI ha cominciato a fare divulgazione nelle scuole e nelle aziende, creando una progettazione per trasportarla nel Mediterraneo. Così si sta concludendo Splash!, per il monitoraggio delle plastiche nella colonna d’acqua delle correnti nelle acque portuali di Tolone, Genova e Olbia. E così è arrivato anche il prezioso – seppur preoccupante – risultato della seconda missione di Borgogno al Polo Nord, e in cui ERI rappresentava l’ente di ricerca in collaborazione con l’Istituto idrografico della Marina militare italiana. «Una missione che – termina Floris – ha portato alla scoperta, per la prima volta, di macroplastiche, e quindi di frammenti di plastica intonsa, all’interno della calotta polare, in un luogo che non era mappato da Google perché prima coperto dai ghiacci».