GIT Padova
Gruppo di Iniziativa Territoriale di Banca Etica
A cura di Faustin Gahima
L’anno 2025, cominciato nell’est del Congo nell’orrore e nella desolazione, sembra concludersi con un lume di speranza per la popolazione congolese in generale e per quella martoriata dell’est del Congo in particolare. La speranza nasce grazie all’accordo di pace firmato giovedì 4 dicembre 2025 a Washington tra il presidente Tshisekedi della Repubblica Democratica del Congo e Paul Kagame, presidente del Rwanda, sotto il patrocinio del presidente Trump degli USA. Tante delegazioni africane e del Qatar vi hanno partecipato come testimoni di ciò che viene chiamato storico accordo di pace tra il Congo e il Rwanda.
In effetti, dal 1996 il Rwanda, sostenuto da grandi potenze tra cui gli USA e i paesi dell’UE, da alcuni paesi africani come l’Uganda e il Kenya, e mediante gruppuscoli congolesi (che gli servono da cavalli di Troia), il Ruanda, nella fattispecie il suo presidente Kagame, ha indotto sei ondate di guerre orrende in Congo, il cui bilancio è allucinante: tra 10 e 15 milioni di vite congolesi stroncate, oltre 850 mila donne e ragazze stuprate, più di 7,5 milioni di sfollati in Congo (triste record mondiale), saccheggi delle grandi risorse del Congo, appropriazione delle terre fertili, insediamento dei ruandesi in luoghi e posti dei congolesi uccisi o fuggiti ecc.
Fino alla fine del 2024, la Comunità Internazionale e l’ONU, dominata da potenze che alimentavano subdolamente o chiaramente questa guerra per appropriarsi delle risorse del Congo attraverso il Rwanda, manifestava piuttosto un’attitudine ambigua e quasi complice del dramma congolese. Il Rwanda e i suoi alleati sterminavano la popolazione congolese in totale impunità, fino ai massacri spettacolari avvenuti a gennaio 2025.
Questi massacri disgustosi, in cui circa 14.000 persone sono state uccise nella presa delle città di Goma (10.000) e Bukavu (4.000) in pochissimi giorni, sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Per i congolesi disperati e stremati da 28 anni di guerra, la presa di queste due città provinciali dell’est del Congo e l’occupazione militare e amministrativa, da parte dei soldati ruandesi e dei loro alleati, del territorio congolese più ricco e fertile sembrava segnare l’irreversibile balcanizzazione tanto temuta. Ma la reazione della comunità internazionale fu paradossalmente diversa: tanti paesi che sostenevano il Rwanda, disgustati, cominciarono a dissociarsi dal Rwanda e a imporre delle sanzioni.
Il presidente del Congo e la giovane ministra degli Affari Esteri, Kaikwamba Wagner, hanno fatto una mossa diplomatica audace proponendo a Trump un deal che chiede agli USA di aiutare il Congo a ritrovare la pace, la sua integrità territoriale e la sua sovranità, in cambio della possibilità di sfruttare insieme le grandi risorse minerarie con pari guadagno (gagnant-gagnant). Una proposta osata e rischiosa, fatta a una potenza che da 29 anni è l’alleato principale del Rwanda!
Trump ha colto l’occasione al volo e ha proposto trattative per la pace tra il Congo e il Rwanda, ripartendo dalle trattative e risoluzioni precedenti, bloccate o non rispettate, creando anche una sinergia con un altro ciclo di negoziati che si svolge a Doha, in Qatar, tra il governo congolese e i ribelli congolesi M23 collaboratori del Rwanda (i cosiddetti “cavalli di Troia”).
Nel frattempo, l’ONU si è mossa positivamente, questa volta nell’ottica della giustizia: il 21 febbraio 2025, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha adottato all’unanimità la risoluzione 2773, che condanna l’avanzata dei ribelli M23 e il sostegno del Rwanda, chiedendo un cessate il fuoco immediato, il ritiro delle truppe straniere, la fine del supporto ai gruppi armati e il ritorno ai dialoghi politici per una soluzione pacifica.
Infine, l’accordo di Washington sul Congo, firmato il 4 dicembre 2025 tra la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Rwanda. Mira a porre fine al conflitto e ne stabilisce le fasi chiave: cessate il fuoco immediato e rispetto territoriale, ritiro delle truppe ruandesi entro 90 giorni, disarmo dei gruppi armati (M23 e FDRL), creazione di meccanismi di sicurezza congiunti e un quadro per la cooperazione economica regionale, specialmente nel settore minerario, con apertura agli investimenti USA. La domanda rimane: l’accordo sarà rispettato?
Per Trump, la guerra è finita. Tuttavia, sul campo di battaglia l’intensità dei combattimenti è raddoppiata e c’è il rischio che il conflitto si estenda al Burundi che sostiene il Congo. La popolazione congolese vittima, dopo 29 anni di delusioni, resta piuttosto perplessa e non crede in una pace senza giustizia. Ci vuole un tribunale internazionale finora poco considerato.
Paragonando la situazione all’inizio dell’anno con questa di dicembre, grazie a queste svolte positive possiamo nutrire una certa speranza per l’avvenuto d’una pace duratura in Congo e nella regione dei grandi laghi africana.