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Antonio Loffredo – candidato al Comitato Etico

Antonio Loffredo – candidato al Comitato Etico

All’Assemblea dei Soci del 20 maggio saremo chiamati ad eleggere il nuovo Comitato Etico, organo sociale pensato per dare un contributo su temi centrali per la Banca, le sfide e i valori, aiutandola a riflettere sul futuro.

Ogni persona candidata ha risposto ad alcune domande per presentarsi e condividere le loro idee sul progetto di Banca Etica. Il 26 aprile potrai interagire con loro in diretta streaming: iscriviti subito!

Antonio Loffedo

Raccontaci qualcosa di te che ritieni importante in prospettiva della tua candidatura

Sono figlio di un imprenditore e da adolescente ho fatto tanta fatica per capire e per farmi capire da mio padre. Ci siamo impegnati a fondo entrambi per non conformarci alle aspettative che l’uno riponeva nell’altro e non abbiamo mai lasciato che ci incuriosisse la nostra diversità. La lontananza non ha saputo indirizzare il desiderio di ritrovarci e abbiamo percorso strade impervie, che solo ora, in fondo, mi sembrano parallele.

Sono il primogenito e fu per il mio papà un duro colpo quando decisi di farmi prete. Non comprendeva come io potessi fare una scelta simile. Non accettava il naufragio di tutti i suoi sogni, che io avrei dovuto incarnare e realizzare per lui. Avrebbe anche accettato che intraprendessi un’altra strada, ma cosa può mai sognare un prete? Cosa produce? La tonaca invece del doppiopetto… Ma le cose non vanno quasi mai come previsto. 

Ci sono tanti modi di fare il prete, come ci sono tanti modi di fare l’uomo. Io ho trovato poche ma chiare indicazioni lungo il percorso che ho seguito, che mi hanno suggerito il mio. Una mi invitava a interpretare il senso del mio operato, un’altra mi suggeriva di non oppormi mai alla corrente ma lasciarmi trasportare e prepararmi a scoprire dove mi avrebbe condotto, una terza mi spronava a non arrendermi, indipendentemente dalla natura dell’ostacolo frapposto a impedire i miei passi.

Attrezzato in questo modo, ho iniziato la mia avventura trentotto anni fa e ho imparato tante cose. 

Di esperienze speciali ne ho vissute tante ma una, quella di parroco al Rione Sanità, mi ha particolarmente segnato. Forse perché qui, più che altrove, ho calcato le sue orme. Qui la sfida è consistita proprio in questo: fare impresa. Certo, non secondo le logiche di mio padre, ma nell’unico modo, tutto nuovo, che poteva farmi corrispondere al modello che voleva seguissi.

L’ironia della sorte ha fatto sì che proprio in questi ultimi decenni si sviluppassero le idee innovative che hanno consolidato l’esistenza di quello che chiamano il Terzo Settore. Una felice intuizione di quanti, insoddisfatti per le carenze dell’intervento pubblico e disinteressati al profitto privato fine a se stesso, si sono votati a una «imprenditoria sociale e non commerciale» e operano per «soddisfare interessi generali». Immagino spesso, ora che mio padre è morto, il suo scetticismo di fronte a parole come «non profit», «solidarietà», «sussidiarietà orizzontale».

Da napoletano non potevo certo non conoscere la Sanità, eppure decisi di riscoprirla, attraversarla, percorrerla palmo a palmo, aspirarla e lasciarmi pervadere da lei sino a conoscerla intimamente. Ho cercato di penetrarne i meccanismi, per sostenerne le contraddizioni, per contenere e reggere l’impotenza e l’incredulità davanti alla paralisi di tante risorse. Fino a quando è apparso uno spiraglio, è emerso un appiglio e abbiamo individuato un modo per sbloccare la vitalità ingolfata in questo quartiere. 

Al Rione Sanità soprattutto i più giovani si stanno cambiando d’abito, sono belli: una festa per gli occhi e per il cuore. Stanno buttando via le vecchie abitudini con cui si svegliavano ogni mattina, stanno sforzandosi di imparare ciò che serve per proporsi e farcela, stanno rinunciando al disfattismo, si stanno affrancando dalle loro storie lacere, stanno rinunciando alla pigrizia e alla monelleria per diventare grandi. Per agire, per sperare con fiducia. Io, in questi anni, mi sono limitato ad affiancarli, condividerne le sfide, sostenerli nelle difficoltà e accompagnarli nella conquista della terra promessa, quella abitata dai giganti. Insieme li abbiamo affrontati, così come abbiamo dominato la paura che incutono. L’impresa è appena cominciata ma perché anche un solo sogno si trasformi in realtà, vale la pena rischiare, sempre e comunque.

Ecco, questo è il miglior investimento che io sia riuscito a fare. Onestamente, non so se, alla fine ora dal cielo, mio padre creda ancora che io abbia sbagliato strada. Forse ora sarà disposto a riconoscere che, tutto sommato, ho avuto fiuto per gli affari anch’io, sebbene l’ambito in cui mi sono impegnato non fosse previsto nei suoi piani.

Cosa ti motiva ad essere candidato nel Comitato Etico di Banca Etica?

Penso sia ormai tempo di rivoluzionare il sistema, perché si generi un’economia finalmente civile, ossia preoccupata innanzitutto della felicità dell’uomo, della ricchezza universale e dunque da condividere. Solo una «cultura nuova», attenta soprattutto alla formazione di ogni singola persona, potrà generare questa «nuova economia», capace di anteporre a ogni altra priorità la cura del creato e l’aiuto alle persone più deboli uniche depositarie del futuro.

L’affermazione «Nulla di umano può essere estraneo ai discepoli di Cristo» del Concilio Vaticano II è stata per me sempre un’indicazione chiara. A Napoli poi è tradizione per i preti fare proprie le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini. Ne cito uno per tutti: il prete Antonio Genovesi che nel 1754, all’università Federico II di Napoli, ottenne la prima, e allora unica, cattedra al mondo di economia. Le sue opere parlavano di pubblica felicità e virtù civili. 

I preti, a Napoli, per tradizione sanno che non ci sono due storie, una della salvezza e l’altra dell’umanità. La storia è «storia di salvezza», è «il lento e doloroso cammino della famiglia umana verso la pienezza» e verso la sua trasformazione in «famiglia».

In un periodo di grandi sfide esterne di tipo sociale, culturale, ambientale, a partire dalla tua esperienza, quale contributo pensi di poter dare e pensi che il Comitato Etico possa apportare accompagnare l’evoluzione di una banca che è nata per mettere il denaro al servizio delle persone e del pianeta? 

Spesso in questi anni mi sono chiesto in che modo e con quali modelli sociali ed economici sarebbe stato realmente possibile migliorare la qualità della vita di ogni essere umano. Ho lavorato con giovani senza speranze convinti che solo l’affiliazione ad un clan potesse offrire un’opportunità di vita. Armare questi giovani di speranza, fede e cultura ha prodotto un processo virtuoso che ha fatto del Rione Sanità di Napoli uno dei 10 posti al mondo da non perdere. La burocrazia, il progresso e i vincoli giuridici possono diventare ostacoli alla realizzazione del “sogno”. Tenere sempre ben presenti i vincoli e confrontarli con i valori, porta spesso a soluzioni inaspettate e realizzabili a dispetto di quanti li ritenessero perdenti. Anche una Banca come la nostra è soggetta a vincoli e a sfide continue e spero di poter dare un mio contributo. Con l’esperienza praticata con le tante   “imprese impossibili”, realizzate guardando sempre alle ricadute socio economiche e ambientali di ciascuna esse, i vincoli si sono trasformati in opportunità: intercettare reti attive, intraprendere collaborazioni informali, studiare e cimentarsi con teorie e tecnicismi può produrre strumenti per superare i vincoli e vedere il sogno che si trasforma in realtà. Vengo da un padre imprenditore e per me, la realizzazione di un profitto è indispensabile per dare dignità, opportunità  e  speranza. Credere nella contaminazione valoriale e di sistema fa affrontare le sfide del futuro con le uniche armi che vanno costruite: istruzione, bellezza, cultura, fede, fiducia e impegno.

È all’interno di questi spazi concreti e multiformi che possono finalmente crescere le virtù civili, la vita relazionale, la «civiltà dell’amore» e la spiritualità. In Banca Etica convivono tutte le dimensioni del nostro fecondo umanesimo: il rispetto del creato, la cultura, l’economia e la politica, dimensioni che devono contaminarsi a vicenda, generando il bene comune in modo da rispondere ai reali bisogni di ogni uomo.  Restare fedeli alla nostra grande tradizione, che s’ispira a un’economia civile e non politica, è l’unico modo per favorire un mercato comunitario e non capitalistico.

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