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La situazione nelle carceri ai tempi del Covid-19

A cura di Aurora d’Agostino di Giuristi Democratici di Padova. Immagine di copertina di Claudio Calia

Coronavirus. Ci sono luoghi più pericolosi di altri: le carceri e i luoghi di contenzione amministrativa per migranti (i cosiddetti CPR) lo sono certamente. lo hanno compreso e detto subito in molti, sin dall’inizio di questo terribile periodo. Già il 9 marzo avevamo promosso insieme alla rete Legal Team Italia un appello “Svuotare le carceri subito” che ha raccolto molte e qualificate adesioni del mondo degli operatori del diritto e che poneva l’attenzione sull’inevitabilità di una rapida soluzione che consentisse la scarcerazione immediata di tutti i detenuti anziani, malati, di tutti coloro che devono scontare pene brevi. Abbiamo aderito all’appello promosso da molte associazioni ed inviato al Governo, al Papa, al Garante. Abbiamo promosso una conferenza stampa sulla detenzione in Italia e in Turchia, dove sono in corso scioperi della fame estremi, che già hanno condotto alla morte di Helin Bolek, solista dei Grup Yorum), insieme alle associazioni degli avvocati turchi e a componenti della Camera Penale e di Antigone. 

La risposta data dagli interventi governativi (pochi, tardivi e poco influenti) si è rivelata assolutamente inadeguata al pericolo che tutti corriamo e che a maggior ragione corre chi si trova ristretto in spazi sovraffollati, in promiscuità forzata, in condizioni igieniche notoriamente non adeguate neppure in condizioni di normalità. Nonostante gli appelli rivolti al governo anche da una parte della Magistratura di Sorveglianza, la concessione di misure alternative alla detenzione è stata estremamente parca e sostanzialmente legata ai criteri ordinari. Ne dà atto la recente relazione (2.4.2020) del Garante Nazionale, che sottolinea che “Le persone detenute registrate nelle camere, nel momento in cui scriviamo sono 56.830, i posti realmente disponibili rimangono gli stessi dei giorni scorsi (poco più di 47.000). Nonostante il calo, il tasso di affollamento rimane del 121,75% …”

Moltissimi detenuti (quasi 16.000) hanno pene inferiori ai due anni da scontare, moltissimi sono in stato di custodia cautelare (cioè non ancora condannati in via definitiva), ci sono ancora detenute con bambini in carcere. 

L’altro elemento che influisce pesantemente sulla mancata concessione di misure alternative è, ancora una volta, economico e sociale: chi non ha una base sociale, un’abitazione, una famiglia, un contesto di riferimento è condannato a permanere in cella non potendo usufruire di affidamenti in prova, detenzione domiciliare, per mancanza di luoghi idonei in cui scontare la pena fuori. Una situazione che è ovviamente destinata ad aggravarsi, man mano che il lockdown sortisce gli inevitabili effetti economici ed occupazionali e che già ora è drammaticamente legata (anche nei nostri territori) all’indisponibilità di molti dei luoghi che normalmente assicurano la possibilità di fruizione di misure alternative (comunità gestite da associazioni di volontariato in primis).

Dopo le rivolte nelle carceri di inizio marzo, con un tributo di morti e devastazioni di cui si è parlato troppo poco, dopo che il virus ha iniziato a falcidiare vite anche tra detenuti e il personale penitenziario, la situazione non pare evolversi con la necessaria tempestività; pare davvero si resti immobili “incrociando le dita”. Non è epoca, non è giusto: occorrono subito provvedimenti di scarcerazione, occorrono luoghi in cui collocare i detenuti scarcerandi, le madri ed i bambini detenuti. Occorre un’exit strategy di cui non si vede neppure un timido inizio.

Ci permettiamo un ultimo appunto, anche se ci sarebbe molto altro da dire: la prospettiva di una rapida soluzione dell’emergenza sanitaria in atto è autorevolmente messa in dubbio da molti, titolati a farlo.

Il carcere rischia ogni giorno di più di diventare un’autentica polveriera, con una grande ed immediato riverbero sull’intera comunità. Servono misure immediate per garantire la salute dei detenuti e dell’intero mondo che ci gira intorno, che non è “altro da noi” liberi; servono misure di lungo periodo che riaffermino il carcere come “ultima ratio”. Serve ricominciare a parlare anche di quelle “eresie” che si chiamano amnistia ed indulto

Giuristi Democratici di Padova “Giorgio Ambrosoli” 

Per contatti segreteria@giuristidemocraticipadova.it

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