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Viaggio in Ecuador: “Todavía hay esperanza!”

Viaggio in Ecuador: “Todavía hay esperanza!”

 

Un recente viaggio in Ecuador ha permesso a un gruppo di volontari di GenEtica e Fiare di confrontarsi direttamente con la povertà estrema, scoprendone al tempo stesso la dignità, la resilienza e la speranza che abitano le comunità più vulnerabili. Accompagnati dal Banco Codesarrollo, una realtà che da anni lavora sul territorio con strumenti di microcredito, educazione finanziaria e assistenza tecnica, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di entrare in contatto con le vite quotidiane di contadini e piccoli imprenditori che, nonostante tutto, non smettono di credere nel futuro.

 

 

Una delle cose che è emersa con chiarezza è l’importanza di distinguere tra prestiti per consumare e prestiti per produrre. Nel contesto ecuadoregno, un prestito produttivo, come l’acquisto di una mucca, può rappresentare la differenza tra sopravvivenza e sviluppo, tra dipendenza e autonomia. Accanto al sostegno economico, si rivela fondamentale l’assistenza tecnica offerta da agronomi e veterinari che, con competenza e umanità, affiancano le famiglie nelle sfide quotidiane dell’agricoltura e dell’allevamento.
La povertà, però, non è solo una questione economica. È anche una ferita sociale, una mancanza di accesso ai diritti fondamentali. In molti territori visitati, le strutture sanitarie e assistenziali funzionano soltanto grazie alla solidarietà e al volontariato. È il caso del centro per disabili della Fundación Tierra Nueva o dell’ospedale dell’Operazione Mato Grosso a Zumbahua, che sopravvivono nonostante debiti statali superiori ai cinque milioni di dollari. Qui, spesso, si paga “quel che si può”, e il resto lo copre la generosità della rete umana che tiene in piedi queste istituzioni.

 

 

 

Il viaggio ha anche messo in discussione l’idea stereotipata del “povero virtuoso”, ricordando ai visitatori che la povertà non santifica nessuno e che le persone, anche in situazioni estreme, restano complesse, con i loro limiti, errori e contraddizioni. È proprio da questa consapevolezza che nasce uno dei messaggi più potenti dell’esperienza: il bisogno di fiducia, di perdono reciproco, di umanità condivisa. Come scriveva Eduardo Galeano, “mis certezas desayunan dudas”: le certezze, se vogliono essere vere, devono nutrirsi ogni giorno del dubbio. È solo mettendo in discussione i propri pregiudizi che si può comprendere davvero la realtà.

 

 

Un simbolo semplice ma potente ha colpito profondamente i volontari: in molte case, un fiore alla finestra indica che lì la fame non è più un’emergenza. Piccoli segni di rinascita che raccontano un cambiamento possibile, spesso reso concreto dal lavoro delle cooperative locali. Queste organizzazioni, gestite dal basso, hanno permesso di trattenere ricchezza nei territori, arginando l’emigrazione e rafforzando la coesione sociale. Grazie al ruolo delle cooperative, i soldi rimangono dove vengono prodotti e sono reinvestiti nelle stesse comunità. È come se, grazie alle cooperative, si fosse interrotto il fiume verso la città e si fosse creato un lago che consente ai villaggi locali di cambiare, svilupparsi e migliorare le loro condizioni di vita.

Il viaggio è stato anche occasione per riflettere sulle grandi disuguaglianze globali. In Ecuador, l’acqua potabile è un privilegio raro, mentre la Coca-Cola si trova ovunque. Nei supermercati europei, le banane dell’America Latina costano meno delle mele coltivate localmente: una distorsione che rivela come il Sud del mondo non abbia voce nel determinare il valore delle proprie risorse. Anche l’energia elettrica è incostante perché manca acqua nelle dighe a causa della siccità, e in molte comunità l’installazione di pannelli solari rappresenta un sogno condiviso che ancora fatica a diventare realtà.

Inoltre, particolarmente evidente è il carico che grava sulle donne. Lavorano, educano i figli, tessono mentre camminano, portano avanti la casa e l’economia informale, ma restano ai margini delle decisioni che contano. La loro forza è silenziosa, quotidiana, spesso invisibile, ma essenziale.

Infine, è stato toccante l’eccesso di accoglienza riservato ai viaggiatori italiani: doni, festeggiamenti, attenzioni sproporzionate che hanno generato domande profonde su cosa significhi davvero essere ospiti in un contesto di povertà.

Al termine di questo viaggio, il messaggio che rimane più forte non è tanto quello della miseria, ma della speranza. Il Banco Codesarrollo è riuscito nel suo intento più profondo: mostrare che la felicità non dipende da ciò che si possiede, ma dal senso di comunità, dalla capacità di essere grati, dall’arte di affrontare le difficoltà con il sorriso.

La povertà non è ancora sconfitta, ma “Hay esperanza”: c’è ancora speranza. Ogni persona, ovunque si trovi, può fare la propria parte.

 

Articolo a cura di: Jacopo Posarelli, Linda Santini, Gianandrea Spadoni

Foto di: Marco Andriano

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