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Comunità e ceramiche resistono alla delocalizzazione

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In collaborazione con Corrado Fontana, giornalista di Valori.it

«Essendo noi una piccola realtà, con un numero esiguo di persone che si conoscono, in qualche caso, da più di 25 anni, è stato più semplice. Ci siamo guardati negli occhi, e abbiamo deciso»: ecco i vantaggi del legame di comunità. E quando Marco Brozzi, direttore dell’azienda Ceramisia, venne chiamato a ottobre 2018 dalla proprietà per ricevere l’annuncio che l’impresa, specializzata nella produzione di ceramiche da tavola di media e alta gamma, dalle pirofile ai piatti, sarebbe stata delocalizzata in Armenia, dallo sconforto iniziale è nata una soluzione. Un workers buyout, cioè una nuova impresa, con il senso del collettivo che emerge fin dal nome, Ceramiche Noi a Città di Castello (Pg).

E così Brozzi racconta quei momenti: «Al primo momento sono rimasto basito e poi mi sono messo a cercare una soluzione. Ho parlato col sindacato e poi con Legacoop. Quando ho parlato per la prima volta di WBO coi lavoratori le reazioni non sono state propriamente favorevoli – ride, ndr –. Mi hanno praticamente dato del matto. Poi sono venuti a parlarci i rappresentanti di Legacoop. A spiegare che, facendo un bilancio tra i pro e i contro, erano più i vantaggi, e ci avrebbero seguito nella costruzione del progetto, cosa che stanno tutt’ora facendo, e ci avrebbero aiutato ad avere un appoggio da parte di Banca Etica, come poi è stato. Insomma ci hanno mostrato un punto di luce dopo il grande scoramento vissuto».

Ceramiche Noi è partita, quindi. Grazie a una sinergia tra diverse organizzazioni, grazie al supporto dei 25mila euro di microcredito fornito da Banca Etica, a un mutuo della Bcc, agli accordi ottenuti dal sindacato per avere a disposizione la liquidazione anticipata e gli arretrati degli stipendi. Tutte le pratiche si sono concluse in un mese dal fallimento e gli 11 lavoratori dipendenti si sono trasformati in soci, hanno fondato una cooperativa, prendendo i locali in affitto dall’immobiliare della proprietà precedente e acquistando i macchinari dall’attività produttiva precedente. Un’operazione da 300mila euro che ha avuto bisogno di impiegare – come accade sempre in questi casi – la NASpI anticipata. E già oggi l’impresa, oltre agli 11 soci iniziali, ha acquisito 4 dipendenti.

Tutto è stato realizzato rapidamente per non scontentare i clienti, tornando alla produzione ad agosto 2019, dopo che il licenziamento era avvenuto nel giugno precedente. «Perché il nostro mercato principale – prosegue Brozzi – sono gli Stati Uniti d’America, per un 90%, e dovevamo garantire il Natale. È il nostro momento di vendita maggiore, come anche di tutte le altre categorie merceologiche, e ci siamo riusciti grazie all’impegno di tutti, lavorando 14-15 ore al giorno, recuperando il terreno perduto. Praticamente siamo riusciti in un piccolo miracolo». E mentre l’azienda precedente, sacrificata sull’altare delle strategie economiche della società, sta andando in liquidazione, Ceramiche Noi ha chiuso il 2019 come previsto dal business plan, e il 2020 – finora – procede anche meglio di quanto preventivato, con richieste per maggio, giugno e luglio che potrebbero richiedere l’impiego di nuovo personale.

«Banca Etica – conclude Brozzi – ci ha aiutato nei primi passi, poiché ogni startup ha come problema principale quello della liquidità. Ha creduto nel progetto, ed è stato fondamentale il suo contributo. Sarà forse difficile da credere, ma siamo riusciti a diventare soci tutti insieme perché tutti i lavoratori qui lavoravano come se l’azienda già fosse loro, impegnandosi sempre più del dovuto, lavorando quando ce n’era bisogno. Erano in qualche modo già imprenditori di se stessi, col workers buyout l’hanno solo certificato».