a cura di Corrado Fontana (giornalista di Valori.it)
Per risolvere il problema della casa la parola magica può essere “autorecupero”. Così almeno stanno dimostrando a Firenze due vicende che mettono insieme il diritto delle persone ad avere un tetto sulla testa con la tutela e il ripristino del patrimonio pubblico.
Il primo caso è quello dell’Ex Asilo Ritter di proprietà del Comune. Circondato da fabbriche chimiche, da cui riceveva miasmi e fumi accusati di produrre disturbi respiratori, venne chiuso nel 1986 e occupato durante una delle prime azioni del Movimento di lotta per la casa, nell’ottobre del 1991. Era allora un edificio in pieno abbandono, infestato dai topi e con l’acqua stagnante in tutti i locali.
Il secondo caso è quello dell’ex ospedale psichiatrico per bambini Bice Cammeo di via Aldini, abbandonato negli anni ’70 e poi occupato anch’esso. È di proprietà dell’Azienda Usl Toscana Centro, che si è assunta responsabilità e oneri del progetto esecutivo attuale.
I due complessi sono oggi il cuore di un percorso di autorecupero edilizio, reso possibile da un riconoscimento istituzionale delle esperienze di occupazione ultraventennale, prima, e poi da una legge regionale (Decreto 1945/2012) fortemente voluta. Ma non solo.
Perché l’impresa – immaginata politicamente già alla fine degli anni ’90 – racconta di un’ostinata sinergia, pur lenta e faticosa, tra enti pubblici (Usl, Comune, Regione), privato sociale (la Fondazione Giovanni Michelucci), cittadinanza solidale e decine di famiglie e singoli, italiani e stranieri, occupanti per necessità.
Ai due cantieri – aperti ma temporaneamente sospesi per un adeguamento dei progetti – collaborano, laddove opportuno e secondo le competenze di ciascuno, gli stessi occupanti. Al Ritter per la realizzazione di 10 alloggi, col contributo regionale di 400 mila euro; in via Aldini per 20 alloggi, con un contributo regionale di 800 mila euro. Entrambi, con scadenza a due anni e monitorati nell’avanzamento dagli enti pubblici, sono affidati all’associazione Un tetto sulla testa, che raggruppa gli occupanti ed è “soggetto attuatore”. E che alla fine disporrà dei due immobili in comodato d’uso, rispettivamente per 30 e 25 anni.
Un’impresa che – al termine dei 24 mesi previsti – darà una casa sicura a 30 famiglie e due edifici recuperati alla collettività, resa possibile anche dallo sforzo particolare, partecipe, della filiale fiorentina di Banca Etica. Una consulenza continua che ha contribuito a responsabilizzare le famiglie coinvolte, ha permesso l’apertura dei fidi necessari a coprire parte dei costi e raccolto la solidarietà concreta e cospicua di alcuni fiorentini – anonimi – a controgaranzia finanziaria dell’operazione.
«Siamo un Paese che ha una percentuale di alloggi residenziali pubblici ridicola sul totale: arrivano al 5% contro il 30% della Francia, ad esempio. E un Paese che non ha un adeguato patrimonio di edilizia residenziale pubblica ha un problema. E siccome non ci sono fondi per costruire case nuove, bisogna trovare altre strade»: chiosa l’antropologa Sabrina Tosi Cambini, un tempo nella Fondazione Michelucci e da sempre tra i più caparbi tessitori di questa piccola grande impresa collettiva. Parole di critica ma fiduciose, che il buon esito finale sia finalmente a portata di mano e che questo modello d’intervento possa fare scuola altrove in Italia.
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