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PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA SERVE UNA FINANZA DIVERSA!

Ci troviamo alla convergenza di tre grandi crisi, pandemica, economico-finanziaria e climatica.
Gli Accordi di Parigi del 2015 hanno sancito l’impegno da parte della maggioranza dei Paesi del mondo verso una drastica riduzione delle emissioni di gas climalteranti, fino all’obiettivo finale di emissioni nette zero entro il 2050, traguardo che, se raggiunto, ci consentirebbe di limitare l’aumento delle temperature globali al di sotto di +2° C e di salvaguardare quindi l’ecosistema e la vita stessa sul pianeta.

Per conseguire questo obiettivo serve mettere in atto una serie di scelte politiche, tecnologiche, sociali e individuali che implicano cambiamenti radicali: è la cosiddetta “transizione ecologica”, oggi al centro del dibattito pubblico mondiale.
Alla transizione ecologica è dedicato il libro uscito di recente per Altreconomia, intitolato “Che cos’è la transizione ecologica. Clima, ambiente, disuguaglianze sociali”. Il volume, curato dal giornalista Massimo Acanfora e dal ricercatore Gianluca Ruggieri, è il frutto del contributo di diverse autrici e autori, tra i quali il vicepresidente di Banca Etica Andrea Baranes. L’intervento di quest’ultimo è incentrato su finanza e transizione ecologica e mette in luce un cortocircuito grave che rischia di compromettere tutti gli sforzi richiesti alla comunità internazionale per arginare la catastrofe climatica: l’enorme contributo dato all’economia fossile e al riscaldamento globale dai maggiori gruppi bancari del mondo, anche in seguito agli impegni assunti con gli Accordi di Parigi e nonostante le evidenze scientifiche che sottolineano come la transizione ecologica debba essere in primis una transizione energetica.

Come sottolinea Baranes, tremilaottocento miliardi di dollari è l’ingente montagna di denaro destinata dai più grandi 60 gruppi bancari mondiali all’industria dei combustibili fossili. Ma, andando a indagare più in profondità, il tema del complesso rapporto tra finanza e cambiamento climatico, ci si accorge di altri elementi critici che lo costellano: la ricerca del massimo profitto nel minor tempo possibile che spinge le imprese a trattare gli impatti ambientali e sociali come mere esternalità del tutto trascurabili, nel tentativo rapace di conseguire gli obiettivi imposti da una finanza ipertrofica e autoreferenziale; un sistema completamente scollegato dalle necessità dell’economia reale, che non assolve al proprio originario scopo sociale, quello di erogare crediti, e predilige una sempre più spregiudicata speculazione finanziaria con obiettivi di breve periodo; il tema degli stranded assets, vale a dire le riserve di combustibili fossili che non si dovrebbero estrarre per salvaguardare il pianeta e che rappresentano il valore di Borsa delle principali industrie del settore (che proprio per questo si opporrebbero ad un eventuale accordo internazionale che vieti l’estrazione di risorse come carbone, petrolio, gas).

La transizione ecologica è in primis una transizione energetica. Quale il contributo della finanza su questo piano?

In questo quadro preoccupante ci sono segnali positivi? Sì, uno di questi è il crescente interesse dei risparmiatori verso le tematiche ambientali: molti investitori chiedono sempre più spesso che il proprio denaro non venga destinato ad imprese che alimentano il riscaldamento globale. Nei primi tre mesi del 2021, stando ai dati Morningstar raccolti da Fondazione Finanza Etica, circa due miliardi di dollari al giorno sono stati investiti in fondi sostenibili. E la finanza “green” sembra non essere mai stata così popolare. Eppure quest’ultima, specie come definita e normata nel quadro dell’Action Plan europeo, non può essere risolutiva perché, di fatto, non mette in discussione le radici dell’intero sistema e continua a considerare la sostenibilità come un obiettivo secondario o, peggio ancora, come uno strumento di marketing funzionale ad accrescere i profitti (per saperne di più rimandiamo al nostro approfondimento sullle differenze tra finanza etica e finanza sostenibile).

L’intervento di Baranes si conclude con un invito ad agire dal basso, mettendo in atto una riflessione consapevole sull’uso che viene fatto dei nostri soldi una volta affidati ad istituti di credito e società di gestione del risparmio. L’unica reale alternativa resta l’approccio della finanza etica, improntato a trasparenza, partecipazione e valutazione di tutti gli impatti, sociali e ambientali, delle proprie attività. Ma è necessaria anche una regolamentazione dall’alto, un indirizzo normativo che, attraverso una serie di azioni e scelte radicali, possa riportare la finanza ad essere uno strumento al servizio del pianeta e della società.

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