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IMPRESA GIOVANE AL SERVIZIO DELL’ETICA NEL LAVORO

In collaborazione con Corrado Fontana, giornalista di Valori.it

«Nasciamo il 4 gennaio 2017 con otto soci e un obiettivo alto, quello di migliorare il mondo del lavoro in Italia, lasciandolo almeno per un pezzettino più etico di come l’abbiamo trovato». A parlare è Luca Carrai, 30 anni superati da poco, socio di maggioranza e fondatore di Ethicjobs, startup e Società Benefit (SB) con sede a Rimini entrata nel quarto anno di vita, dopo essere scaturita da un grande entusiasmo e, perché no, da un senso di positiva appartenenza e responsabilità verso la collettività. 

Questo sembra essere uno dei punti di partenza della creatura imprenditoriale che Carrai, con i suoi altrettanto giovani soci e colleghi, ha avviato quando, da freschi laureati, decisero insieme di non andare all’estero, bensì di «cambiare le cose qui e ora nel nostro Paese». E perciò, grazie anche al partenariato di due atenei importanti come la Bocconi di Milano e l’Università degli studi di Bologna, si sono messi a sviluppare un processo matematico statistico che permettesse di misurare il benessere dei dipendenti delle imprese. Un obbiettivo tutt’altro che semplice da ottenere, ma che, una volta tradotto in dati misurabili e scientificamente dimostrati, avrebbe permesso di puntare a un duplice traguardo finale: «da un lato aumentare la qualità della vita delle persone in azienda, dall’altro accrescere le performance economiche delle società. Dimostrando così la correlazione statistica tra il dipendente felice e l’impresa più produttiva».

Uno scopo alto, dicevamo, poiché passa dai numeri alla vita delle persone e viceversa. E per realizzarlo concretamente Ethicjobs si affida a un questionario che valuta il benessere in base a cinque macroaree (clima e rapporti; benefit e retribuzione; orario e conciliazione vita privata; lavoro, sicurezza e adeguatezza degli spazi e degli strumenti; persona). Il questionario, estremamente personalizzato e processato attraverso una piattaforma online, è alimentato, in forma assolutamente anonima, dalle risposte dei lavoratori stessi. Mentre le aziende, al termine del percorso, possono ambire a una certificazione etica, raggiungendo un punteggio minimo di 6 su 10 in ciascuna delle macroaree. «In questi quattro anni di valutazione – precisa Carrai – abbiamo incontrato circa 200 imprese, ne abbiamo valutate una cinquantina, e di queste è risultata etica una ventina, le cui schede vengono pubblicate sul nostro sito. Le aziende che invece non hanno raggiunto il punteggio per essere certificate, ma hanno deciso comunque di acquistare la nostra reportistica, dispongono di dati molto importanti per potersi migliorare».

Un vantaggio che pare ben percepito dalle compagnie, se il progetto di Ethicjobs continua a trovare riscontro, ricevendo anche il sostegno di Banca Etica. «Questa parola è nel nome di entrambi, ed è già un ottimo minimo comun denominatore. Personalmente la conoscevo già individualmente come correntista e, riconoscendole una mission comune con Ethicjobs per diversi aspetti, grazie al bando Innovare in rete siamo entrati in relazione, e Banca Etica – conclude Carrai – ci ha concesso un finanziamento». Un “bell’incontro”, citando un film romantico di qualche anno fa, che trova oggi ampie corrispondenze sul piano valoriale in ciò che il lavoro di Ethicjobs porta alla luce.

Dalle risposte dei lavoratori, infatti, emerge, ad esempio, che lo stipendio non è la variabile più importante per le persone al fine di stare bene. Di sicuro lo è meno di elementi come il clima generale e i rapporti coi colleghi, motivazione e appagamento, l’attenzione al welfare aziendale. Soprattutto fra i cosiddetti millennials, per cui risulta significativo l’allineamento ai valori aziendali, lo stipendio non è tra le cinque voci più importanti, mentre compaiono spesso la considerazione e il rispetto, l’orario e il carico di lavoro, e persino le pratiche sociali e ambientali dell’impresa. A buon intenditor…

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