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Il motore della finanza etica per sbloccare l’ascensore sociale

Il motore della finanza etica per sbloccare l’ascensore sociale

A cura di Anna Fasano – Presidente di Banca Etica

L’ascensore sociale è bloccato per tante persone, soprattutto se donne. Nella migliore delle ipotesi, funziona così male che ha bisogno, se non di essere sostituito, di un immediato riavvio. Tanto più oggi, 8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna, in cui celebriamo anche il ventiquattresimo compleanno di Banca Etica, va ribadita perciò l’urgenza di ripristinare la fluidità di quella dinamica virtuosa che ha consentito alle generazioni passate di ambire a migliorare le proprie condizioni di lavoro, di reddito e di vita nella comunità rispetto alla generazione delle nonne e dei nonni, delle madri e dei padri. Il rallentamento dell’ascensore sociale incide ormai non solo su pochi cittadini di alcuni gruppi “meno fortunati”, bensì negativamente sulla maggioranza dei cittadini di molti Paesi; l’aumento grave delle disuguaglianze e un generale impoverimento comprimono le energie e lo sviluppo collettivo, limitano la visione di futuro.

Non a caso, il blocco dell’ascensore sociale impatta fortemente sulla società italiana ed è trasversalmente percepito: lo rilevava l’Ocse già nel 2018, segnalando che potrebbero essere necessarie almeno cinque generazioni per i bambini nati in famiglie a basso reddito per raggiungere il reddito medio; lo conferma un recente sondaggio diffuso da Legacoop, secondo il quale solo il 5% sul totale di intervistati ha migliorato la propria posizione sociale negli anni recenti (e di quel 5% solo l’1% è appartenente al ceto popolare e il 10% al ceto medio). Come Gruppo Banca Etica, con la volontà di contrastare simili distorsioni, adottiamo quindi politiche finanziarie e di credito che mirano a sostenere l’impresa femminile e l’inclusione sociale e di genere e, ogni anno, elaboriamo uno studio sull’inclusione finanziaria in Italia, ben sapendo che ogni penalizzazione delle donne su tali fronti colpisce l’intera società in cui si determina.

Un male per le donne e per le società

Uno studio dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE, 2017) sostiene ad esempio che le disparità di genere a livello di partecipazione attiva al mercato del lavoro e di retribuzione priverebbero l’Ue di un aumento tra 3,5 e 6 milioni di posti di lavoro nel 2050 e di un miglioramento del PIL pro capite tra lo 0,8% e il 5,5% tra 2030 e 2050. Le donne sono anche coloro le quali hanno subìto gli impatti economici più duri durante la pandemia, in termini di aggravio delle funzioni cura e di riduzione occupazionale e reddituale, perdendo complessivamente nel mondo 800 miliardi di dollari di entrate nel 2020 (Oxfam, 2022). 

Ma questo quadro trova riscontro anche su scala minore, e a prescindere dal recente periodo pandemico, se è vero che una recente statistica diffusa dalla Commissione europea attribuisce un differenziale medio del 13% nelle retribuzioni a vantaggio degli uomini sulle donne negli Stati della Ue. E sebbene altre fonti di dati – ad esempio per Italia e Spagna, Paesi dove il Gruppo Banca Etica si impegna per mitigare certi fenomeni – rilevino percentuali di disparità nei compensi anche maggiori di quella citata sopra, è importante comprendere che queste distanze di reddito sono solo una delle corde che muovono l’ascensore sociale (accesso a istruzione e formazione, accesso alla salute, accesso alla casa…). E tra queste una delle più potenti è senz’altro quella dell’accesso alle risorse finanziarie: Banca Etica già oggi pratica una divisione della distribuzione del credito erogato sostanzialmente equa, con le donne che rappresentano poco più del 43% della clientela (a fronte di una media nazionale stimata del 35%) e ricevono più del 45% della nuova finanza erogata (Report di Impatto 2022).

Non solo. L’interruzione della “funzione di servizio pubblico” della mobilità sociale e intergenerazionale è parte di una generale distorsione che, a livello planetario, ha consentito all’1% di persone più ricche, in termini patrimoniali, di beneficiare del 38% del surplus di ricchezza tra il 1995 e il 2021, rispetto al misero 2,3% del surplus che è andato alla metà più povera della popolazione mondiale. Senza dimenticare che nel nostro Paese (Rapporto Istat 2021) la povertà assoluta tocca oltre 2 milioni di famiglie ed è in forte crescita, soprattutto nel Nord, mentre Caritas Italiana (indagando la “povertà ereditaria” nel suo rapporto 2022 sulla povertà) ricorda che «il raggio della mobilità ascendente risulta assai corto e sembra funzionare prevalentemente per chi proviene da famiglie di classe media e superiore; per chi si colloca sulle posizioni più svantaggiate della scala sociale si registrano invece scarse possibilità di accedere ai livelli superiori (da qui le espressioni “dei pavimenti e dei soffitti appiccicosi”, “sticky grounds e sticky ceilings”)». Mentre l’intervento pubblico incide davvero troppo poco: nel 2022 si stima che l’insieme delle politiche sulle famiglie abbia ridotto la disuguaglianza (misurata dall’indice di Gini) da 30,4% a 29,6%, e il rischio di povertà dal 18,6% al 16,8%.

La responsabilità delle banche e la leva del credito e della finanza etica


Per ri-attivare l’ascensore sociale, in Italia come in Spagna e nelle altre nazioni, servono scelte coraggiose nell’utilizzo delle risorse sia pubbliche che private. Servono  politiche pubbliche, a partire da investimenti sulla scuola e sulla creazione di posti di lavoro dignitosi;  ma c’è molto, moltissimo, che anche le banche possono fare, soprattutto quando si attiva una buona sinergia tra pubblico e privato. Il credito è uno strumento formidabile per l’inclusione sociale e il progresso delle collettività. Purché venga smentito nei fatti il luogo comune diffuso secondo cui “le banche prestano i soldi solo a chi li ha già”. 

Fare finanza etica significa proprio essere capaci di favorire l’accesso al credito anche per quelle persone e imprese che non partono già da una situazione confortevole. Significa investire sui progetti, guardando alle persone e all’impatto sociale ed ambientale dei loro progetti e non solo  alle cifre dei bilanci. Grazie ad alcuni fondi di garanzia pubblici possiamo inoltre dare un mutuo per l’acquisto della casa a giovani che non hanno famiglie alle spalle che possono garantire per loro; possiamo finanziare lavoratori e lavoratrici coraggiosi che si mettono in cooperativa e salvano dal fallimento l’azienda per cui lavorano (workers buyout); possiamo finanziare start-up e imprese femminili, sostenere i giovani che hanno buone idee ma poche risorse. Con i fondi di garanzia per il microcredito, tramite i nostri partner e tramite la nostra Fondazione Culturale, possiamo trasformare in realtà i progetti di micro-impresa di tante persone giovani o meno che si sono trovate escluse dal mercato del lavoro e osano mettersi in proprio: aprire un bistrot; una sartoria; un centro estetico, una libreria.

L’accesso al credito è uno strumento di democrazia economica: se erogato dagli istituti bancari e finanziari con trasparenza e valutandone l’impatto sul benessere del pianeta e delle persone, è uno strumento di indirizzo delle scelte a favore o a discapito dell’umanità e del creato; se utilizzato dalle persone per coltivare sogni e progetti, consegna la libertà di poter costruire la propria vita, il proprio futuro, rappresentando un vero strumento di empowerment.

Anche oggi 8 marzo,  siamo in prima linea per aiutare l’ascensore sociale a rimettersi in moto.